Osservazione sublitorale del comportamento alimentare di Hermodice carunculata (vermocane, verme di fuoco) su Pelagia noctiluca (medusa luminosa) Isole Eolie, Mar Mediterraneo, Mar Tirreno Meridionale Agosto 2019.
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C'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire (Tavola 1). Anche quando è arrivato il momento dell'ultima immersione, giusto un attimo prima che il traghetto salpi dal porto. Tutto ciò che ti rimane da fare è ammirare una volta ancora, attraverso il cristallo della maschera incrostato di sale, quel blu profondo e impossibile da descrivere a parole.
Hermodice carunculata, anche conosciuto come vermocane o verme di fuoco, e Pelagia noctiluca, nota anche come medusa luminosa, sono due animali marini che, per ragioni simili, non godono di ottima fama. Lasciarsi ammaliare dalle loro tinte sgargianti o dai tentacoli colorati e vellutati che sembrano quasi chiamare a sé, invitanti come un gatto quando fa le fusa, può rappresentare un pericoloso errore di valutazione per chiunque se li ritrovi a vista.
Nei giorni precedenti alla singolare scoperta che mi accingo a raccontare, avevo dedicato parte del mio tempo a raccoglierli, quasi per gioco ma accuratamente, dentro la piccola rete di mia figlia: volevo spostarli più a largo possibile e sottrarli così al “furore” dei bagnanti. La dimensione dei vermocani in particolare, compresa tra i 300 ed i 500 mm, e la loro colorazione rendono questi animali solitari facili da individuare mentre si muovono (George e Hartmann-Schröder, 1985; Simonini et al., 2018; Read e Fauchald, 2020).
Durante l'ultima immersione però, mentre osservavo con attenzione il fondale a poca distanza dalla spiaggia, qualcosa di particolare e che certamente non avevo mai visto prima attirò la mia attenzione: un nutrito gruppo di vermocani si contorceva vorticosamente in circa 4-5 mt. di acqua (Tavola 1).
Mi domandai cosa stessero facendo. Mangiavano? Si stavano accoppiando? Lottavano forse per occupare quella particolare porzione di fondale? E’ questa’ultima una possibilità concreta nel caso delgi annelidi, almeno in alcuni casi, anche se non in questo (e.g. Roe, 1975).
Incuriosito da ciò che stava accadendo, mi sono immerso ripetutamente per osservare più da vicino: cos'altro dovrebbe fare un biologo? Fin da subito notai che, al centro di quel vortice di vermocani, era presente sicuramente un'altra specie: si trattava per la precisione di un esemplare malandato di Pelagia noctiluca (Tavola 2).
Nei giorni precedenti alla singolare scoperta che mi accingo a raccontare, avevo dedicato parte del mio tempo a raccoglierli, quasi per gioco ma accuratamente, dentro la piccola rete di mia figlia: volevo spostarli più a largo possibile e sottrarli così al “furore” dei bagnanti. La dimensione dei vermocani in particolare, compresa tra i 300 ed i 500 mm, e la loro colorazione rendono questi animali solitari facili da individuare mentre si muovono (George e Hartmann-Schröder, 1985; Simonini et al., 2018; Read e Fauchald, 2020).
Durante l'ultima immersione però, mentre osservavo con attenzione il fondale a poca distanza dalla spiaggia, qualcosa di particolare e che certamente non avevo mai visto prima attirò la mia attenzione: un nutrito gruppo di vermocani si contorceva vorticosamente in circa 4-5 mt. di acqua (Tavola 1).
Mi domandai cosa stessero facendo. Mangiavano? Si stavano accoppiando? Lottavano forse per occupare quella particolare porzione di fondale? E’ questa’ultima una possibilità concreta nel caso delgi annelidi, almeno in alcuni casi, anche se non in questo (e.g. Roe, 1975).
Incuriosito da ciò che stava accadendo, mi sono immerso ripetutamente per osservare più da vicino: cos'altro dovrebbe fare un biologo? Fin da subito notai che, al centro di quel vortice di vermocani, era presente sicuramente un'altra specie: si trattava per la precisione di un esemplare malandato di Pelagia noctiluca (Tavola 2).
È normale veder muoversi la medusa luminosa nella colonna d'acqua, oppure osservarne degli esemplari non integri che rotolano sul fondo del mare, soprattutto in conseguenza di una forte mareggiata. Tali esemplari si potrebbero essere in precedenza arenati ed esser stati poi spinti di nuovo in mare o contro gli scogli o ancora esser stati mutilati dai bagnanti. Qualunque ne sia stata la causa, questi esemplari si presentano danneggiati in modi diversi, cosa resa ancor più grave dall'incapacità delle meduse stesse di condurre efficacemente la loro naturale danza pelagica in quello stato malandato.
La Pelagia noctiluca che intravedevo sotto il gruppo di vermocani non aveva un aspetto pimpante: quel suo particolare stato ne aveva certamente reso più semplice la cattura da parte di quel gruppo di predatori onnivori bentonici.
Durante quell'osservazione, la mia attenzione è stata poi attirata anche dal comportamento di un vermocane solitario che si trovava a non più di un metro dal gruppo. (Tavola 3).
La Pelagia noctiluca che intravedevo sotto il gruppo di vermocani non aveva un aspetto pimpante: quel suo particolare stato ne aveva certamente reso più semplice la cattura da parte di quel gruppo di predatori onnivori bentonici.
Durante quell'osservazione, la mia attenzione è stata poi attirata anche dal comportamento di un vermocane solitario che si trovava a non più di un metro dal gruppo. (Tavola 3).
Mi trovavo una volta ancora di fronte ad uno spettacolo del tutto nuovo per me: quel vermocane solitario, infatti, sollevava la parte anteriore del suo corpo dal fondale marino ed avanzava spingendosi ora avanti ora indietro, strisciando come un serpente. È stato uno spettacolo emozionante da ammirare!
Ho dedotto che quel vermocane stesse cercando, avvertendo, "annusando" qualcosa di interessante nelle vicinanze. Era a caccia quindi? È risaputo che si tratti di una specie onnivora, predatrice e che si nutra anche di carogne (George e Hartmann-Schröder, 1985; Schulze et al., 2017).
Il lavoro a quel punto poteva sembrare finito e che l'unica cosa rimasta da fare fosse soltanto di sistemare lo zaino e tornare a casa con il ricordo bene a fuoco di quella singolare esperienza appena vissuta ed un cospicuo bottino di fotografie. In realtà era proprio quello il momento di aspettare, di non farsi prendere dalla fretta.
C'erano altre domande da porsi? Avrei potuto trovare una risposta plausibile a ciascuna di esse? E se da quel “raccolto” si potesse mietere qualche altro frutto?
In sintesi: il comportamento osservato del gruppo di vermocani scaturiva esclusivamente dalla necessità di garantirsi un buon pasto energetico o c'erano ulteriori elementi da prendere in considerazione?
Quanto contenuto nutrizionale può trovarsi in uno spuntino a base di meduse, considerando soprattutto che queste non possano più essere considerate dei "vicoli ciechi trofici”? (Milisenda et al., 2014; Stoner e Layman, 2015; Barfield 2019).
Quale altro elemento avrebbe potuto incentivare il comportamento osservato di quel gruppo di vermocani, così coordinato ed alquanto frenetico?
Una spiegazione circa quanto osservato potrebbe essere rappresentata dal tentativo da parte dei vermocani di reperire dall'esterno “armi chimiche” di difesa. Se ad esempio l'unica possibilità di dotarsi di tali strumenti di difesa fosse quella di sottrarre preziosi prodotti molecolari ad una specie che, normalmente, occupa un “regno” diverso dal tuo?
Basti immaginare, ad esempio, alla possibilità di far liberare sostanze chimiche (come un pennacchio di fumo) direttamente dalla preda o attraverso l'azione stessa dei vermocani che le scavano attorno o magari proprio attraverso un'interazione tra i due animali?
Seguendo questa ipotesi potrebbe immaginarsi un gradiente di dispersione, o forse più semplicemente, una traiettoria diretta alla posizione di origine?
È capace Hermodice carunculata di registrare sottili cambiamenti di concentrazione di un particolare agente chimico? E se così fosse, come fanno i vermocani a riconoscere tale agente? La testa fluttuante che si osserva nei movimenti dei vermocani, sembra suggerire che essi applichino un protocollo di ricerca sofisticato: seguono un primo percorso, poi un altro, per comprendere alla fine quale metodo sia meglio seguire per ottenere il risultato più adeguato.
Resta da capire come possono fare eventualmente i vermocani a rilevare le sostanze chimiche. Cosa sappiamo ad esempio della chemorecezione nei policheti o, ancora più specificamente, negli anfinomidi? Dove potrebbe essere collocato il loro apparato olfattivo o gustativo?
E' ben noto come negli esseri viventi, ogni impulso naturale associato alle strategie di difesa, alla riproduzione, alla selezione ed all'alimentazione, dipenda dalla capacità di ciascun essere di rilevare determinati segnali chimici. Questo è certamente vero per i policheti e per gli organismi marini in generale. Oltre a questo assunto però, mancano ulteriori dettagli su quali siano gli esatti meccanismi di rilevazione delle sostanze chimiche da parte di questi esseri viventi, benché i loro organi nucali, come ad esempio la caruncola, pare rivestano una funzione sensoriale (Lindsay, 2009).
Negli anfinomidi gli organi nucali sono presenti su entrambi i lati della caruncola (Lindsay, 2009).
Nell' H. carunculata, la caruncola si estende lungo il dorso, dal prostomio su 4 segmenti chetali, con 6/8 pieghe laterali che possono a loro volta presentare anche delle pieghe secondarie (George e Hartmann-Schröder, 1985).
Alla luce di tali caratteristiche, il gesto di sollevare il capo al fine di "fiutare" o assaggiare la corrente chimica quando viene rilevato qualcosa di interessante nelle vicinanze, assume certamente un significato da tenere nella giusta considerazione. Oltre ad aiutare il vermocane a confermare la presenza di elementi chimici nelle vicinanze, i movimenti sopra descritti potrebbero aiutarlo a scegliere con maggiore certezza anche la direzione da seguire. Esaminata la complessità di questa sorta di “protocollo di rilevazione” ed il dispendio energetico che l'effettuazione dello stesso deve oggettivamente comportare, si può dedurre quale importanza possa rivestire per il vermocane raggiungere tale obiettivo.
Non mi capita molto spesso, onestamente, di trovarmi in Italia meridionale nel mese di agosto. Lì è il periodo più caldo dell'anno e molta gente, proprio allora, si trova in vacanza. Queste condizioni ambientali rendono oggettivamente molto più complicato ed insidioso qualsiasi tipo di studio, ma nonostante ciò, quanto da me osservato durante la mia ultima permanenza nel Sud Italia mi ha fornito degli spunti molto utili nello studio dei vermocani.
Ho potuto raccogliere molti più elementi di quanto non abbia potuto fare in altri periodi dell'anno e, nello specifico, ho potuto osservare un gran numero di vermocani più piccoli rispetto a quelli rilevati nelle mie precedenti esplorazioni; posso anzi dire senza dubbio di aver individuato, in questa circostanza, gli esemplari più piccoli che io abbia mai visto.
Credo inoltre che questa mia osservazione possa fornire lo spunto per tante domande che si potrebbero rivolgere a chi è in possesso di un numero maggiore di dati specifici e di risorse finanziarie più importanti. In effetti, Simonini et al. (2018), riferiscono che la presenza di H. carunculata "è diventata sempre più degna di nota" nel mar Mediterraneo e che sono in aumento gli avvistamenti di esemplari lunghi 10/30 cm in acque costiere poco profonde.
Proviamo allora a farci qualche altra domanda. Cosa potrebbe accadere, ad esempio, se si entrasse (il vermocane, nota del traduttore) in questo nuovo ambiente “nudi ed indifesi”? L'automimetismo gli offrirebbe un certo grado di protezione ma non certamente una difesa rilevante (Svennungsen et al., 2007).
È altrettanto importante domandarsi se H. carunculata produca da solo le tossine o se, al contrario, deve raccoglierle esclusivamente da altri esseri viventi appartenenti a specie diverse. La produzione di tossine comporta certamente un notevole dispendio energetico; se pertanto il sistema di reperimento di queste ultime si basasse esclusivamente su meccanismo descritto poc'anzi, si potrebbe affermare che i giovani vermocani sarebbero sottoposti ad un maggiore stress derivante dalla necessità di “cacciare”, avendo meno probabilità degli esemplari più grandi di incontrare altre specie a cui sottrarre eventuali tossine?
Se fossi un predatore affamato, ad esempio, troverei certamente più facile a cibarmi degli esemplari più piccoli di vermocani. Ma d'altro canto, considerando il tendenziale aumento delle meduse che si è registrato nei mari negli ultimi tempi, si potrebbe verosimilmente concludere, anche alla luce delle osservazioni empiriche riportate qui, che ciò significherebbe più cibo, più tossine e quindi anche più strumenti di difesa a disposizione dei vermocani?
La letteratura scientifica non fornisce, al momento, risposte sufficientemente chiare. Alcune prove fin qui raccolte sembrano indicare che H. carunculata abbia la necessità di raccogliere da altri esseri le tossine necessarie alla propria sopravvivenza non essendo potenzialmente in grado di autoprodurle (Schulze et al., 2017; Stoner e Layman, 2015).
Gleib et al. (1995), hanno peraltro osservato che H. carunculata che si è nutrito di palythoa, uno zoanthidae bianco incrostato che può formare spessi tappeti sopra coralli morti ed altri substrati duri, contiene alte concentrazioni di palitossina (PTX). Lo stesso studio suggerisce che i vermocani debbano avere una notevole resistenza al PTX e ipotizza che ciò potrebbe avere un effetto deterrente sulle loro funzioni predatorie.
Simonini et al. (2018) hanno anche notato che i ciuffi delle fragili chete dorsali che donano ai vermocani il caratteristico aspetto barbuto, "sono pieni di un'insolita tossina".
Sull'isola di Abaco, nell'arcipelago delle Bahamas nell'Oceano Atlantico settentrionale occidentale, i ricercatori hanno osservato H. carunculata mentre si nutriva di una medusa Cassiopea spp. (Stoner e Layman, 2015). Come ho già avuto modo di scrivere io stesso in questo articolo, riportando quanto da me osservato circa il comportamento di un gruppo di vermocani, anche questo studio riferisce di più vermocani che si nutrono di una singola medusa, "avvolgendo i loro corpi parzialmente o completamente attorno ad essa". Gli autori ipotizzano anche che H. carunculata possa incamerare tossine dalla medusa Cassiopea e da altre fonti come, ad esempio, dagli cnidari bentonici.
Va sottolineato come, durante l'attività di approvvigionamento delle tossine, i vermocani coinvolti risultino particolarmente esposti ed attivi. Tuttavia, non essendo insolito osservare degli esemplari di vermocane muoversi in solitaria sul fondale marino, viene da pensare che gli stessi godano di un certo livello di “immunità” dai predatori: non si spiegherebbe altrimenti la loro apparente reticenza a nascondersi. A meno che, come peraltro già sottolineato in precedenza, i benefici derivanti dal cibarsi di specie come P. noctiluca valgano per i vermocani il potenziale rischio di essere a loro volta attaccati da predatori più grandi.
Circa la consuetudine di cibarsi in gruppo evidenziata per H. carunculata, Simonini et al. (2018) hanno trovato ulteriori prove a conferma del fatto che i vermocani si cibino di meduse capovolte, Cassiopea sp., anemoni di sole (Stichodactyla helianthus) e ricci di mare viola (Paracentrotus lividus). Alla luce di quanto da me osservato e descritto, anche P. noctiluca può essere aggiunta a questo elenco.
Simonini et al. (2018) hanno inoltre riferito di vermocani intenti a "correre verso" la preda, attribuendo questa loro particolare capacità ai "loro organi anteriori di senso sviluppati". Le osservazioni fin qui proposte e le immagini qui riportate fanno ritenere che questa interpretazione sia corretta.
I vermocani possono nutrirsi di una certa gamma di specie con difesa chimica; la scelta varia a seconda di dove gli stessi si trovino, sia a livello locale che globale.
Una delle domande da porsi è ad esempio se i vermocani si concentrino su specie in particolare, per il fatto che da questa possano ad esempio ottenere tossine ad effetto sequestrante o se, più semplicemente, si “accontentano” di ciò che riescono a trovare? Simonini et al. (2018) hanno notato come gli esemplari mediterranei di H. carunculata da loro studiati consumavano diversi organismi a difesa chimica quali Asterina gibbosa (stella con cuscino di stellina), Coscinasterias tenuispina (stella marina spinosa minore), Cratena peregrina e Botryllus schlosseri (stella coloniale).
È stato inoltre osservato che H. carunculata, in mancanza di cibo, è anche cannibale.
Come già notato da altri autori, risulterebbe molto utile comprendere ancora meglio il comportamento, le “dinamiche sociali” e l'importanza di questa specie di amfinomidi, in considerazione soprattutto della sua molto probabile capacità di resistere ai rapidi cambiamenti che si verificano nell'ambiente marino (Simonini et al., 2018; Stoner e Layman, 2015).
Come risponderanno, ad esempio, alla tropicalizzazione della struttura trofica del Mar Mediterraneo? (Encarnação et al., 2019; Simonini et al., 2018) Quali specie potrebbero trarre beneficio dall'incremento della popolazione di H. carunculata?
Ci sono ancora molte domande senza risposta e molti misteri da svelare sulle caratteristiche del vermocane e sulla sua storia naturale. Quali sono ad esempio i suoi principali predatori della specie nel Mar Mediterraneo? Come potrebbero essere identificati? Se ad esempio H. carunculata derivasse davvero la sua difesa chimica da P. noctiluca, sarebbe possibile immaginare che alcuni dei predatori della medusa possano essere anche predatori del vermocane? Milisenda ed altri (2014), hanno riferito ad esempio che P. noctiluca costituisce un'importante risorsa alimentare per la boga (anche nota come opa) (Boops boops), un pesce dal prezioso valore commerciale.
Gli stessi autori elencano inoltre due specie di tartaruga, altri otto tipi di pesce ed un crostaceo che, nel Mar Mediterraneo, si nutrono di P. noctiluca. Questo elenco potrebbe costituire un utile punto di partenza nello studio delle abitudini del vermocane.
La boga (Boops boops), ad esempio, si ritrova facilmente ed i abbondanza intorno alle gabbie di allevamento dei pesci così come l'H.carunculata. L'analisi del contenuto intestinale di questi pesci non ha però consentito di rinvenirne nelle viscere tracce di policheti, probabilmente a causa della grande quantità di mangime (pellets) a disposizione in prossimità degli allevamenti (Arechavala-Lopez et al., 2011; Riera et al., 2014a; Riera et al., 2014b ). D'altra parte, alcune specie di policheti qui non descritte sono state invece rinvenute nei contenuti stomacali di boghe catturate nelle vicinanze (Arechavala-Lopez et al., 2011).
Se ad esempio venisse confermato che H. carunculata ha bisogno di raccogliere tossine da fonti esterne per vivere, ogni quanto tempo potrebbe aver bisogno di cacciare P. noctiluca per ricaricare il proprio sistema di difesa? Con quale meccanismo ne percepisce il bisogno? Un solo pasto di questo tipo potrebbe essere sufficiente?
Una cosa la posso però dire con certezza: la P. noctiluca che ho potuto osservare da vicino, attaccata e sottomessa da un gruppo di vermocani è stata divorata, tossine e tutto il resto (Tavola 4)!
Ho dedotto che quel vermocane stesse cercando, avvertendo, "annusando" qualcosa di interessante nelle vicinanze. Era a caccia quindi? È risaputo che si tratti di una specie onnivora, predatrice e che si nutra anche di carogne (George e Hartmann-Schröder, 1985; Schulze et al., 2017).
Il lavoro a quel punto poteva sembrare finito e che l'unica cosa rimasta da fare fosse soltanto di sistemare lo zaino e tornare a casa con il ricordo bene a fuoco di quella singolare esperienza appena vissuta ed un cospicuo bottino di fotografie. In realtà era proprio quello il momento di aspettare, di non farsi prendere dalla fretta.
C'erano altre domande da porsi? Avrei potuto trovare una risposta plausibile a ciascuna di esse? E se da quel “raccolto” si potesse mietere qualche altro frutto?
In sintesi: il comportamento osservato del gruppo di vermocani scaturiva esclusivamente dalla necessità di garantirsi un buon pasto energetico o c'erano ulteriori elementi da prendere in considerazione?
Quanto contenuto nutrizionale può trovarsi in uno spuntino a base di meduse, considerando soprattutto che queste non possano più essere considerate dei "vicoli ciechi trofici”? (Milisenda et al., 2014; Stoner e Layman, 2015; Barfield 2019).
Quale altro elemento avrebbe potuto incentivare il comportamento osservato di quel gruppo di vermocani, così coordinato ed alquanto frenetico?
Una spiegazione circa quanto osservato potrebbe essere rappresentata dal tentativo da parte dei vermocani di reperire dall'esterno “armi chimiche” di difesa. Se ad esempio l'unica possibilità di dotarsi di tali strumenti di difesa fosse quella di sottrarre preziosi prodotti molecolari ad una specie che, normalmente, occupa un “regno” diverso dal tuo?
Basti immaginare, ad esempio, alla possibilità di far liberare sostanze chimiche (come un pennacchio di fumo) direttamente dalla preda o attraverso l'azione stessa dei vermocani che le scavano attorno o magari proprio attraverso un'interazione tra i due animali?
Seguendo questa ipotesi potrebbe immaginarsi un gradiente di dispersione, o forse più semplicemente, una traiettoria diretta alla posizione di origine?
È capace Hermodice carunculata di registrare sottili cambiamenti di concentrazione di un particolare agente chimico? E se così fosse, come fanno i vermocani a riconoscere tale agente? La testa fluttuante che si osserva nei movimenti dei vermocani, sembra suggerire che essi applichino un protocollo di ricerca sofisticato: seguono un primo percorso, poi un altro, per comprendere alla fine quale metodo sia meglio seguire per ottenere il risultato più adeguato.
Resta da capire come possono fare eventualmente i vermocani a rilevare le sostanze chimiche. Cosa sappiamo ad esempio della chemorecezione nei policheti o, ancora più specificamente, negli anfinomidi? Dove potrebbe essere collocato il loro apparato olfattivo o gustativo?
E' ben noto come negli esseri viventi, ogni impulso naturale associato alle strategie di difesa, alla riproduzione, alla selezione ed all'alimentazione, dipenda dalla capacità di ciascun essere di rilevare determinati segnali chimici. Questo è certamente vero per i policheti e per gli organismi marini in generale. Oltre a questo assunto però, mancano ulteriori dettagli su quali siano gli esatti meccanismi di rilevazione delle sostanze chimiche da parte di questi esseri viventi, benché i loro organi nucali, come ad esempio la caruncola, pare rivestano una funzione sensoriale (Lindsay, 2009).
Negli anfinomidi gli organi nucali sono presenti su entrambi i lati della caruncola (Lindsay, 2009).
Nell' H. carunculata, la caruncola si estende lungo il dorso, dal prostomio su 4 segmenti chetali, con 6/8 pieghe laterali che possono a loro volta presentare anche delle pieghe secondarie (George e Hartmann-Schröder, 1985).
Alla luce di tali caratteristiche, il gesto di sollevare il capo al fine di "fiutare" o assaggiare la corrente chimica quando viene rilevato qualcosa di interessante nelle vicinanze, assume certamente un significato da tenere nella giusta considerazione. Oltre ad aiutare il vermocane a confermare la presenza di elementi chimici nelle vicinanze, i movimenti sopra descritti potrebbero aiutarlo a scegliere con maggiore certezza anche la direzione da seguire. Esaminata la complessità di questa sorta di “protocollo di rilevazione” ed il dispendio energetico che l'effettuazione dello stesso deve oggettivamente comportare, si può dedurre quale importanza possa rivestire per il vermocane raggiungere tale obiettivo.
Non mi capita molto spesso, onestamente, di trovarmi in Italia meridionale nel mese di agosto. Lì è il periodo più caldo dell'anno e molta gente, proprio allora, si trova in vacanza. Queste condizioni ambientali rendono oggettivamente molto più complicato ed insidioso qualsiasi tipo di studio, ma nonostante ciò, quanto da me osservato durante la mia ultima permanenza nel Sud Italia mi ha fornito degli spunti molto utili nello studio dei vermocani.
Ho potuto raccogliere molti più elementi di quanto non abbia potuto fare in altri periodi dell'anno e, nello specifico, ho potuto osservare un gran numero di vermocani più piccoli rispetto a quelli rilevati nelle mie precedenti esplorazioni; posso anzi dire senza dubbio di aver individuato, in questa circostanza, gli esemplari più piccoli che io abbia mai visto.
Credo inoltre che questa mia osservazione possa fornire lo spunto per tante domande che si potrebbero rivolgere a chi è in possesso di un numero maggiore di dati specifici e di risorse finanziarie più importanti. In effetti, Simonini et al. (2018), riferiscono che la presenza di H. carunculata "è diventata sempre più degna di nota" nel mar Mediterraneo e che sono in aumento gli avvistamenti di esemplari lunghi 10/30 cm in acque costiere poco profonde.
Proviamo allora a farci qualche altra domanda. Cosa potrebbe accadere, ad esempio, se si entrasse (il vermocane, nota del traduttore) in questo nuovo ambiente “nudi ed indifesi”? L'automimetismo gli offrirebbe un certo grado di protezione ma non certamente una difesa rilevante (Svennungsen et al., 2007).
È altrettanto importante domandarsi se H. carunculata produca da solo le tossine o se, al contrario, deve raccoglierle esclusivamente da altri esseri viventi appartenenti a specie diverse. La produzione di tossine comporta certamente un notevole dispendio energetico; se pertanto il sistema di reperimento di queste ultime si basasse esclusivamente su meccanismo descritto poc'anzi, si potrebbe affermare che i giovani vermocani sarebbero sottoposti ad un maggiore stress derivante dalla necessità di “cacciare”, avendo meno probabilità degli esemplari più grandi di incontrare altre specie a cui sottrarre eventuali tossine?
Se fossi un predatore affamato, ad esempio, troverei certamente più facile a cibarmi degli esemplari più piccoli di vermocani. Ma d'altro canto, considerando il tendenziale aumento delle meduse che si è registrato nei mari negli ultimi tempi, si potrebbe verosimilmente concludere, anche alla luce delle osservazioni empiriche riportate qui, che ciò significherebbe più cibo, più tossine e quindi anche più strumenti di difesa a disposizione dei vermocani?
La letteratura scientifica non fornisce, al momento, risposte sufficientemente chiare. Alcune prove fin qui raccolte sembrano indicare che H. carunculata abbia la necessità di raccogliere da altri esseri le tossine necessarie alla propria sopravvivenza non essendo potenzialmente in grado di autoprodurle (Schulze et al., 2017; Stoner e Layman, 2015).
Gleib et al. (1995), hanno peraltro osservato che H. carunculata che si è nutrito di palythoa, uno zoanthidae bianco incrostato che può formare spessi tappeti sopra coralli morti ed altri substrati duri, contiene alte concentrazioni di palitossina (PTX). Lo stesso studio suggerisce che i vermocani debbano avere una notevole resistenza al PTX e ipotizza che ciò potrebbe avere un effetto deterrente sulle loro funzioni predatorie.
Simonini et al. (2018) hanno anche notato che i ciuffi delle fragili chete dorsali che donano ai vermocani il caratteristico aspetto barbuto, "sono pieni di un'insolita tossina".
Sull'isola di Abaco, nell'arcipelago delle Bahamas nell'Oceano Atlantico settentrionale occidentale, i ricercatori hanno osservato H. carunculata mentre si nutriva di una medusa Cassiopea spp. (Stoner e Layman, 2015). Come ho già avuto modo di scrivere io stesso in questo articolo, riportando quanto da me osservato circa il comportamento di un gruppo di vermocani, anche questo studio riferisce di più vermocani che si nutrono di una singola medusa, "avvolgendo i loro corpi parzialmente o completamente attorno ad essa". Gli autori ipotizzano anche che H. carunculata possa incamerare tossine dalla medusa Cassiopea e da altre fonti come, ad esempio, dagli cnidari bentonici.
Va sottolineato come, durante l'attività di approvvigionamento delle tossine, i vermocani coinvolti risultino particolarmente esposti ed attivi. Tuttavia, non essendo insolito osservare degli esemplari di vermocane muoversi in solitaria sul fondale marino, viene da pensare che gli stessi godano di un certo livello di “immunità” dai predatori: non si spiegherebbe altrimenti la loro apparente reticenza a nascondersi. A meno che, come peraltro già sottolineato in precedenza, i benefici derivanti dal cibarsi di specie come P. noctiluca valgano per i vermocani il potenziale rischio di essere a loro volta attaccati da predatori più grandi.
Circa la consuetudine di cibarsi in gruppo evidenziata per H. carunculata, Simonini et al. (2018) hanno trovato ulteriori prove a conferma del fatto che i vermocani si cibino di meduse capovolte, Cassiopea sp., anemoni di sole (Stichodactyla helianthus) e ricci di mare viola (Paracentrotus lividus). Alla luce di quanto da me osservato e descritto, anche P. noctiluca può essere aggiunta a questo elenco.
Simonini et al. (2018) hanno inoltre riferito di vermocani intenti a "correre verso" la preda, attribuendo questa loro particolare capacità ai "loro organi anteriori di senso sviluppati". Le osservazioni fin qui proposte e le immagini qui riportate fanno ritenere che questa interpretazione sia corretta.
I vermocani possono nutrirsi di una certa gamma di specie con difesa chimica; la scelta varia a seconda di dove gli stessi si trovino, sia a livello locale che globale.
Una delle domande da porsi è ad esempio se i vermocani si concentrino su specie in particolare, per il fatto che da questa possano ad esempio ottenere tossine ad effetto sequestrante o se, più semplicemente, si “accontentano” di ciò che riescono a trovare? Simonini et al. (2018) hanno notato come gli esemplari mediterranei di H. carunculata da loro studiati consumavano diversi organismi a difesa chimica quali Asterina gibbosa (stella con cuscino di stellina), Coscinasterias tenuispina (stella marina spinosa minore), Cratena peregrina e Botryllus schlosseri (stella coloniale).
È stato inoltre osservato che H. carunculata, in mancanza di cibo, è anche cannibale.
Come già notato da altri autori, risulterebbe molto utile comprendere ancora meglio il comportamento, le “dinamiche sociali” e l'importanza di questa specie di amfinomidi, in considerazione soprattutto della sua molto probabile capacità di resistere ai rapidi cambiamenti che si verificano nell'ambiente marino (Simonini et al., 2018; Stoner e Layman, 2015).
Come risponderanno, ad esempio, alla tropicalizzazione della struttura trofica del Mar Mediterraneo? (Encarnação et al., 2019; Simonini et al., 2018) Quali specie potrebbero trarre beneficio dall'incremento della popolazione di H. carunculata?
Ci sono ancora molte domande senza risposta e molti misteri da svelare sulle caratteristiche del vermocane e sulla sua storia naturale. Quali sono ad esempio i suoi principali predatori della specie nel Mar Mediterraneo? Come potrebbero essere identificati? Se ad esempio H. carunculata derivasse davvero la sua difesa chimica da P. noctiluca, sarebbe possibile immaginare che alcuni dei predatori della medusa possano essere anche predatori del vermocane? Milisenda ed altri (2014), hanno riferito ad esempio che P. noctiluca costituisce un'importante risorsa alimentare per la boga (anche nota come opa) (Boops boops), un pesce dal prezioso valore commerciale.
Gli stessi autori elencano inoltre due specie di tartaruga, altri otto tipi di pesce ed un crostaceo che, nel Mar Mediterraneo, si nutrono di P. noctiluca. Questo elenco potrebbe costituire un utile punto di partenza nello studio delle abitudini del vermocane.
La boga (Boops boops), ad esempio, si ritrova facilmente ed i abbondanza intorno alle gabbie di allevamento dei pesci così come l'H.carunculata. L'analisi del contenuto intestinale di questi pesci non ha però consentito di rinvenirne nelle viscere tracce di policheti, probabilmente a causa della grande quantità di mangime (pellets) a disposizione in prossimità degli allevamenti (Arechavala-Lopez et al., 2011; Riera et al., 2014a; Riera et al., 2014b ). D'altra parte, alcune specie di policheti qui non descritte sono state invece rinvenute nei contenuti stomacali di boghe catturate nelle vicinanze (Arechavala-Lopez et al., 2011).
Se ad esempio venisse confermato che H. carunculata ha bisogno di raccogliere tossine da fonti esterne per vivere, ogni quanto tempo potrebbe aver bisogno di cacciare P. noctiluca per ricaricare il proprio sistema di difesa? Con quale meccanismo ne percepisce il bisogno? Un solo pasto di questo tipo potrebbe essere sufficiente?
Una cosa la posso però dire con certezza: la P. noctiluca che ho potuto osservare da vicino, attaccata e sottomessa da un gruppo di vermocani è stata divorata, tossine e tutto il resto (Tavola 4)!
A sublittoral observation of ‘feeding’ behaviour by Hermodice carunculata (bearded fireworm) on Pelagia noctiluca (mauve stinger), in the Eolian Islands, southern Tyrrhenian Sea, Mediterranean, August 2019.
There is always something to see (Plate 1). Even on the last snorkel, before the ferry shudders free of the harbour wall and all you can do is gaze out through the salt-caked glass at the impossible blue.
Hermodice carunculata, the bearded fireworm is, like the mauve stinger Pelagia noctiluca, much maligned, and for similar reasons. Yes, if you think that it’s array of bristles and velvety colours are inviting you forward like the languid flop of a purring cat you will surely be taught the error of your ways.
I snorkelled a short distance out from the beach with my eyes fixed to the seabed below. In previous days I had controversially, spent some time carefully scooping up fireworms into my daughter’s little hand-net and shifting these animals further offshore so they might escape the wrath of nearshore bathers. Their large size, 300mm to 500mm in length, and colouration makes it easy to spot these solitary animals as they move about (George and Hartmann-Schröder, 1985; Simonini et al., 2018; Read and Fauchald, 2020).
What hooked my attention today, in about 4-5m of water, was something I’d never observed previously, a writhing cluster of fireworms (Plate 1). What were they doing? Feeding? Mating? Was it some sort of territorial aggression / dispute? Is that last even possible in annelids… turns out it is, at least in some cases, though not this one e.g. Roe, 1975.
I made repeated dives down to observe more closely (what else is a biologist to do?). What was immediately clear was that there was another species present and this appeared to be the central focus of the worm-ball. A ragged specimen of P. noctiluca (Plate 2).
I snorkelled a short distance out from the beach with my eyes fixed to the seabed below. In previous days I had controversially, spent some time carefully scooping up fireworms into my daughter’s little hand-net and shifting these animals further offshore so they might escape the wrath of nearshore bathers. Their large size, 300mm to 500mm in length, and colouration makes it easy to spot these solitary animals as they move about (George and Hartmann-Schröder, 1985; Simonini et al., 2018; Read and Fauchald, 2020).
What hooked my attention today, in about 4-5m of water, was something I’d never observed previously, a writhing cluster of fireworms (Plate 1). What were they doing? Feeding? Mating? Was it some sort of territorial aggression / dispute? Is that last even possible in annelids… turns out it is, at least in some cases, though not this one e.g. Roe, 1975.
I made repeated dives down to observe more closely (what else is a biologist to do?). What was immediately clear was that there was another species present and this appeared to be the central focus of the worm-ball. A ragged specimen of P. noctiluca (Plate 2).
It’s usual to see P. noctiluca in the water column but also, particularly after strong winds, you can find damaged examples rolling about the sea-floor. These might have been stranded and then washed back out to sea, pushed against coastal rocks or, targeted by bathers. Whatever the cause they are usually in various states of degradation exacerbated by their inability to maintain their pelagic dance. This particular specimen did not look fresh and this no doubt aided its capture by a benthic omnivorous predator.
I was then lucky enough to observe a second piece of behaviour from a solitary fireworm that was perhaps no more than a metre or so from the worm cluster. (Plate 3).
I was then lucky enough to observe a second piece of behaviour from a solitary fireworm that was perhaps no more than a metre or so from the worm cluster. (Plate 3).
Again, this was entirely new to me. A fireworm raising its anterior section up off the seabed and wafting it back and forth, snake-like. This was as exciting as seeing the worm-ball! The obvious conclusion jumped into my head, it’s searching, sensing, ‘sniffing’ and has detected something of interest nearby.
Predation then, right? We know the species is omnivorous, a predator and that it also feeds on carrion (George and Hartmann-Schröder, 1985; Schulze et al., 2017). Job done, pack your bags and let’s go home.
But wait. Let’s not be hasty. What other questions might we ask and how well could we answer them? What if this harvest was reaping something else? Was it purely calorific value or is there an additional element here? Might we expect more observational evidence in the literature if such behaviour was triggered simply by the chance of a good meal? How much food value is there in a jellyfish snack, especially given the evidence which suggests they can no longer be considered trophic ‘dead ends’ (Milisenda et al., 2014; Stoner and Layman, 2015; Barfield 2019)? What else could be incentivising this concerted and somewhat frenetic group behaviour?
How about the acquisition of defensive chemical weaponry when maybe, you can't manufacture your own? What if your only chance to tool-up depended on finding and ripping out the expensive molecular products of a species that normally inhabits a different realm to you?
Imagine a chemical plume emanating from either the prey or those scavenging upon it or, perhaps an interaction of the two? A dispersing gradient, or perhaps more simply, a path to the source location? Does H. carunculata follow subtle changes in concentration of a particular agent and if so how do they recognise that agent? The wafting head appears to suggest the process is refined. Tracking first one way, then the other, to discern which way might be best to proceed.
But how? What do we know of chemoreception in polychaetes or, more specifically, amphinomids? Where might their olfactory or gustative structures be found?
It is understood that important ecological functional responses such as those associated with defence, reproduction, recruitment and feeding depend on the detection of chemical cues. This is true for polychaetes and marine organisms more generally. Beyond this, details of exact mechanisms are lacking though the nuchal organs are considered to have a sensory function as does the caruncle (Lindsay, 2009).
In amphinomids the nuchal organs sit to either side of the caruncle (Lindsay, 2009). In H. carunculata the caruncle extends back dorsally from the prostomium over four chaetal segments with six to eight lateral folds which may also have secondary folds (George and Hartmann-Schröder, 1985). So, raising your head high to ‘sniff’ or taste the chemical current when something of value is detected nearby makes good sense. It would presumably offer the possibility of confirming that detection, as well as potentially enhancing the directional picture. Given the likely energetic cost of this the rewards would have to be of some value.
I'll be honest. We don't often visit Southern Italy in August. It's hot and everyone is on holiday. Even simple tasks become more arduous and fraught. But it provided a very useful perspective with regard to fireworms. I saw more than I encounter at other times of the year including a number of smaller ones, compared with previous experience. Certainly I saw the smallest examples of the species I’ve seen to date. Plenty of questions here for someone with a bigger temporal dataset, funding etc. In fact, Simonini et al., (2018) report that H. carunculata, ‘has become increasingly noteworthy’ in the Mediterranean with, ‘sightings of 10–30-cm long specimens’ increasing in shallow coastal waters.
Let’s consider some other questions. What if you enter this world naked and defenceless? Automimicry would offer a certain amount of protection but it’s not really a primary defence (Svennungsen et al., 2007). So the question is does H. carunculata make its own toxins at all or, does it rely entirely on harvesting them from other species? Producing toxins is costly so if it relies completely on the latter mechanism we might anticipate that predation pressure on juveniles would be greater, given they could be less likely to have encountered a species from which to sequester any toxins? If I was a hungry predator I might be more likely to try eating small fireworms. But going forward we might want to set against that the fact that jellyfish populations are increasing which presumably could mean more food / toxins available for populations of fireworms?
The literature suggests the answers are currently unclear but evidence seems to indicate that H. carunculata may harvest toxins and potentially cannot make their own (Schulze et al., 2017; Stoner and Layman, 2015). Gleib et al., (1995) found that H. carunculata that have fed on Palythoa, a white encrusting zoanthid that can form thick mats on dead corals and other hard substrata, subsequently contain high concentrations of palytoxin (PTX). However, they go on to suggest that the worms must have considerable resistance to PTX and speculate that this could disable its functional use as a predator deterrent. Simonini et al., (2018) note that the tufts of fragile dorsal chaetae which create the ‘bearded’ appearance, ‘are filled with an uncharacterized toxin’.
On Abaco Island, which is part of the Bahamian Archipelago in the western North Atlantic Ocean researchers have observed H. carunculata feeding on the jellyfish Cassiopea spp. (Stoner and Layman, 2015). As in the example presented here, the authors reported multiple worms feeding on a single jellyfish, “wrapping their bodies either partially or completely around it”. These authors also speculate that H. carunculata may be sequestering toxins from Cassiopea and other sources such as benthic cnidarians.
It’s worth noting that during this activity the fireworms involved are very much exposed and occupied. However, since it is not unusual to see solitary fireworms moving around on the seabed this suggests a certain level of immunity to predation otherwise why not remain more hidden? Or do the benefits of feeding on species such as P. noctiluca outweigh the potential risks?
In terms of reports of group feeding activity by H. carunculata, Simonini et al., (2018) found evidence of this for a number of species including upside-down jellyfish, Cassiopea sp., sun anemone, Stichodactyla helianthus and purple sea urchin Paracentrotus lividus. Clearly, P. noctiluca can now be added to this inventory.
Simonini et al., (2018) also reported fireworms, ‘rushing towards’ prey and attributed this to, ‘their developed anterior sense organs’. The observations and images recorded here reinforce the possibility that this interpretation is correct.
Fireworms can consume a range of chemically-defended species, the selection varying depending on where they are found, presumably both on a local and global level. If they do sequester toxins do they focus on one particular species or do they, more simply, take what they can get? Simonini et al., (2018) note that the Mediterranean specimens of H. carunculata they studied consumed several chemically-defended organisms including Asterina gibbosa (starlet cushion star), Coscinasterias tenuispina (blue spiny starfish), the nudibranch Cratena peregrina and the colonial star ascidian Botryllus schlosseri. In addition the species is also cannibalistic in starvation scenarios.
As noted by other authors it would be valuable to understand more of the behaviour, population dynamics and importance of this species of amphinomid given its likely ability to weather the rapid changes occurring in the marine environment (Simonini et al., 2018; Stoner and Layman, 2015). How will they respond to the tropicalisation of Mediterranean trophic structure (Encarnação et al., 2019; Simonini et al., 2018)? What species might benefit should populations of H. carunculata increase?
There are plenty of unanswered questions and / or uncertainty with regard to H. carunculata and its life history. For example, what are the principal predators of the species in the Mediterranean? How might these be identified? If H. carunculata does obtain it’s chemical defence from P. notiluca could it be that some of the predators of this jellyfish might also be predators of fireworms to some degree? Milisenda et al., (2014) reported that P. notiluca was an important food resource for the commercially valuable fish, Boops boops. These authors also identify two turtles, eight other fish and one crustacean that feed on P. noctiluca in the Mediterranean. This list might be a useful starting point. If you follow the Boops boops trail you find they are abundant around fish cages as is H. carunculata. That said gut contents analysis found no polychaetes in fish sampled from beneath the cages, perhaps because of the ready rain of pellets available to them (Arechavala‐Lopez et al., 2011; Riera et al., 2014a; Riera et al., 2014b). However, some undescribed species of polychaete were identified from the guts of nearby populations of Boops boops (Arechavala‐Lopez et al., 2011).
If it turns out that H. carunculata do need to harvest toxins from external sources how often might they need to consume a mauve stinger for example, to top-up their defence system? How do they know? Or, would one such ‘meal’ be enough? Etc. etc.
One thing is certain, the P. notiluca at the centre of the activity I witnessed was consumed, toxins and all (Plate 4).
Predation then, right? We know the species is omnivorous, a predator and that it also feeds on carrion (George and Hartmann-Schröder, 1985; Schulze et al., 2017). Job done, pack your bags and let’s go home.
But wait. Let’s not be hasty. What other questions might we ask and how well could we answer them? What if this harvest was reaping something else? Was it purely calorific value or is there an additional element here? Might we expect more observational evidence in the literature if such behaviour was triggered simply by the chance of a good meal? How much food value is there in a jellyfish snack, especially given the evidence which suggests they can no longer be considered trophic ‘dead ends’ (Milisenda et al., 2014; Stoner and Layman, 2015; Barfield 2019)? What else could be incentivising this concerted and somewhat frenetic group behaviour?
How about the acquisition of defensive chemical weaponry when maybe, you can't manufacture your own? What if your only chance to tool-up depended on finding and ripping out the expensive molecular products of a species that normally inhabits a different realm to you?
Imagine a chemical plume emanating from either the prey or those scavenging upon it or, perhaps an interaction of the two? A dispersing gradient, or perhaps more simply, a path to the source location? Does H. carunculata follow subtle changes in concentration of a particular agent and if so how do they recognise that agent? The wafting head appears to suggest the process is refined. Tracking first one way, then the other, to discern which way might be best to proceed.
But how? What do we know of chemoreception in polychaetes or, more specifically, amphinomids? Where might their olfactory or gustative structures be found?
It is understood that important ecological functional responses such as those associated with defence, reproduction, recruitment and feeding depend on the detection of chemical cues. This is true for polychaetes and marine organisms more generally. Beyond this, details of exact mechanisms are lacking though the nuchal organs are considered to have a sensory function as does the caruncle (Lindsay, 2009).
In amphinomids the nuchal organs sit to either side of the caruncle (Lindsay, 2009). In H. carunculata the caruncle extends back dorsally from the prostomium over four chaetal segments with six to eight lateral folds which may also have secondary folds (George and Hartmann-Schröder, 1985). So, raising your head high to ‘sniff’ or taste the chemical current when something of value is detected nearby makes good sense. It would presumably offer the possibility of confirming that detection, as well as potentially enhancing the directional picture. Given the likely energetic cost of this the rewards would have to be of some value.
I'll be honest. We don't often visit Southern Italy in August. It's hot and everyone is on holiday. Even simple tasks become more arduous and fraught. But it provided a very useful perspective with regard to fireworms. I saw more than I encounter at other times of the year including a number of smaller ones, compared with previous experience. Certainly I saw the smallest examples of the species I’ve seen to date. Plenty of questions here for someone with a bigger temporal dataset, funding etc. In fact, Simonini et al., (2018) report that H. carunculata, ‘has become increasingly noteworthy’ in the Mediterranean with, ‘sightings of 10–30-cm long specimens’ increasing in shallow coastal waters.
Let’s consider some other questions. What if you enter this world naked and defenceless? Automimicry would offer a certain amount of protection but it’s not really a primary defence (Svennungsen et al., 2007). So the question is does H. carunculata make its own toxins at all or, does it rely entirely on harvesting them from other species? Producing toxins is costly so if it relies completely on the latter mechanism we might anticipate that predation pressure on juveniles would be greater, given they could be less likely to have encountered a species from which to sequester any toxins? If I was a hungry predator I might be more likely to try eating small fireworms. But going forward we might want to set against that the fact that jellyfish populations are increasing which presumably could mean more food / toxins available for populations of fireworms?
The literature suggests the answers are currently unclear but evidence seems to indicate that H. carunculata may harvest toxins and potentially cannot make their own (Schulze et al., 2017; Stoner and Layman, 2015). Gleib et al., (1995) found that H. carunculata that have fed on Palythoa, a white encrusting zoanthid that can form thick mats on dead corals and other hard substrata, subsequently contain high concentrations of palytoxin (PTX). However, they go on to suggest that the worms must have considerable resistance to PTX and speculate that this could disable its functional use as a predator deterrent. Simonini et al., (2018) note that the tufts of fragile dorsal chaetae which create the ‘bearded’ appearance, ‘are filled with an uncharacterized toxin’.
On Abaco Island, which is part of the Bahamian Archipelago in the western North Atlantic Ocean researchers have observed H. carunculata feeding on the jellyfish Cassiopea spp. (Stoner and Layman, 2015). As in the example presented here, the authors reported multiple worms feeding on a single jellyfish, “wrapping their bodies either partially or completely around it”. These authors also speculate that H. carunculata may be sequestering toxins from Cassiopea and other sources such as benthic cnidarians.
It’s worth noting that during this activity the fireworms involved are very much exposed and occupied. However, since it is not unusual to see solitary fireworms moving around on the seabed this suggests a certain level of immunity to predation otherwise why not remain more hidden? Or do the benefits of feeding on species such as P. noctiluca outweigh the potential risks?
In terms of reports of group feeding activity by H. carunculata, Simonini et al., (2018) found evidence of this for a number of species including upside-down jellyfish, Cassiopea sp., sun anemone, Stichodactyla helianthus and purple sea urchin Paracentrotus lividus. Clearly, P. noctiluca can now be added to this inventory.
Simonini et al., (2018) also reported fireworms, ‘rushing towards’ prey and attributed this to, ‘their developed anterior sense organs’. The observations and images recorded here reinforce the possibility that this interpretation is correct.
Fireworms can consume a range of chemically-defended species, the selection varying depending on where they are found, presumably both on a local and global level. If they do sequester toxins do they focus on one particular species or do they, more simply, take what they can get? Simonini et al., (2018) note that the Mediterranean specimens of H. carunculata they studied consumed several chemically-defended organisms including Asterina gibbosa (starlet cushion star), Coscinasterias tenuispina (blue spiny starfish), the nudibranch Cratena peregrina and the colonial star ascidian Botryllus schlosseri. In addition the species is also cannibalistic in starvation scenarios.
As noted by other authors it would be valuable to understand more of the behaviour, population dynamics and importance of this species of amphinomid given its likely ability to weather the rapid changes occurring in the marine environment (Simonini et al., 2018; Stoner and Layman, 2015). How will they respond to the tropicalisation of Mediterranean trophic structure (Encarnação et al., 2019; Simonini et al., 2018)? What species might benefit should populations of H. carunculata increase?
There are plenty of unanswered questions and / or uncertainty with regard to H. carunculata and its life history. For example, what are the principal predators of the species in the Mediterranean? How might these be identified? If H. carunculata does obtain it’s chemical defence from P. notiluca could it be that some of the predators of this jellyfish might also be predators of fireworms to some degree? Milisenda et al., (2014) reported that P. notiluca was an important food resource for the commercially valuable fish, Boops boops. These authors also identify two turtles, eight other fish and one crustacean that feed on P. noctiluca in the Mediterranean. This list might be a useful starting point. If you follow the Boops boops trail you find they are abundant around fish cages as is H. carunculata. That said gut contents analysis found no polychaetes in fish sampled from beneath the cages, perhaps because of the ready rain of pellets available to them (Arechavala‐Lopez et al., 2011; Riera et al., 2014a; Riera et al., 2014b). However, some undescribed species of polychaete were identified from the guts of nearby populations of Boops boops (Arechavala‐Lopez et al., 2011).
If it turns out that H. carunculata do need to harvest toxins from external sources how often might they need to consume a mauve stinger for example, to top-up their defence system? How do they know? Or, would one such ‘meal’ be enough? Etc. etc.
One thing is certain, the P. notiluca at the centre of the activity I witnessed was consumed, toxins and all (Plate 4).
References
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Citation: This article was originally published in the Spring 2020 edition of the Bulletin of the Porcupine Marine Natural History Society and can be cited as follows:
Barfield, P. D. (2020). A sublittoral observation of ‘feeding’ behaviour by Hermodice carunculata (bearded fireworm) on Pelagia noctiluca (mauve stinger), in the Eolian Islands, southern Tyrrhenian Sea, Mediterranean, August 2019. Bulletin of the Porcupine Marine Natural History Society, No. 13, 22-26. ISSN 2054-7137.
© Sea-nature Studies, 2020. All rights reserved in all media.
Barfield, P. D. (2020). A sublittoral observation of ‘feeding’ behaviour by Hermodice carunculata (bearded fireworm) on Pelagia noctiluca (mauve stinger), in the Eolian Islands, southern Tyrrhenian Sea, Mediterranean, August 2019. Bulletin of the Porcupine Marine Natural History Society, No. 13, 22-26. ISSN 2054-7137.
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